Mi chiamo Rosella Simone e sono nata ad Alassio in quella parte a ovest che si chiama Barusso nei primi anni quaranta del ‘900. Da bambina attraversavo il Budello, superavo un arco, tre scalini di pietra ed ero sulla spiaggia a guardare il mare e indovinare cosa ci fosse oltre l’orizzonte e credo e spero di aver fatto questo tutta la vita, guardare un po’ più in là di me, cercare relazioni, contatti con altri corpi, altre culture, altre idee, altri sentimenti, altre geografia, altri cieli per tornare e raccontare quegli incontri. La mia prima avventura è stata Genova, mi ha cresciuto tra i carruggi del centro storico insieme ai portuali, a marinai smarriti, studenti e operai sovversivi, puttane per marinai, intellettuali austeri, trans di coscia lunga, bohemienne scanzonati e colti in Galleria al bar Donelli o sotto i portici da Giavotto e la colonna sonora di canzoni dedicate alle donne in Via del Campo ed ad altri santi perdenti. Qualcuno è vivo qualcuno è morto, tutti si affollano in quell’abisso che è il ricordo. A trent’anni sono approdata a Milano per mettere la testa a posto e lavorare. Non mi piaceva all’inizio poi è diventata un vizio, l’ho capito una sera che arrivando alla stazione Centrale mi sono detta: però, è bella. Mi avevano affatturato le donne di Milano erano bellissime e forti e volevo essere come loro, come Ida soprattutto, ma anche come Annamaria, come Nadia, come Daniela. Dopo un breve passaggio nelle carceri del nord Italia che ha stroncata la mia carriera di ”economista”, ho finalmente trovato un modo di mantenermi facendo la giornalista, molto meglio che lavorare. Scrivevo di donne e uomini su giornali dedicati alle donne raccontando storie. Da qualche anno scrivo libro e persino li pubblico, non “ho fatto i soldi” ma ho cercato di dire quello che mi premeva, mettendoci il massimo della verità che potevo cogliere nelle persone e negli avvenimenti, cercando di non mentire a me stessa e a chi avesse la pazienza di leggermi.